Benvenuti sul mio
Un evento inaspettato anche per me stessa è quello di scrivere su una pagina che non sia "cartacea" ma, come si dice, anche "i più vetusti" talvolta sono costretti ad arrendersi alla modernità. Il mezzo cambia, ma l'anima che racconta è la stessa.
Comincio con la prima puntata del lavoro che ho curato su Alda Merini per i miei alunni della V A del liceo Linguistico "Fonseca". A presto
Giuliana
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La poesia
“maledetta” di Alda Merini
Biografia lirica scritta da me stessa
a cura di
Giuliana Del Pozzo
“A
tutti i giovani raccomando:aprite i libri con religione,
non guardateli superficialmente,
perché in essi è racchiuso
il
coraggio dei nostri padri”
(da “La vita facile”)
“Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera”.
Il
mio nome è Alda Giuseppina Angela Merini e nasco a Milano il 21 marzo 1931; in
famiglia c’è già mia sorella Anna, poi nascerà Ezio. Mio padre Nemo, impiegato
delle Assicurazioni Generali Venezia, è un valente scrittore di casa, quindi
che non pubblica, ma che mi impedisce di
continuare gli studi che preferisco. Dopo aver terminato il ciclo elementare
con voti molto alti, frequento infatti i tre anni di avviamento al lavoro
presso la scuola per sole donne "Laura Solera Mantegazza” in via Ariberto
a Milano e cerco, senza riuscirci per non aver superato la prova di italiano,
di essere ammessa al Liceo Manzoni. Mia madre, Emilia Painelli, è casalinga:
una persona molto semplice che, pur figlia di un insegnante, non ha voluto
studiare. Una donna pratica, determinata, ma
proprio la negazione della cultura. E’ anche una donna bellissima, tanto
che noi tre figli sembriamo la sua brutta copia. Una persona autoritaria e prevaricante, non le si può
confidare un amore, una disobbedienza che ti castiga comunque. Anche i miei
fratelli sono vittime di questo autoritarismo; mia sorella è molto timida,
reagisce appartandosi, mentre mio fratello si vendica tirando con la cerbottana
i bussolotti nelle orecchie di mia madre. Dopo le scuole elementari voglio
entrare in un convento a Vercelli poichè sento dentro di me una grande vocazione:
a casa nessuno mi approva perché sostengono che potrei
essere una buona madre.
Io ho
fatto una vita esattamente contro la mia volontà e lì mi sono persa.
“Spesso ripeto sottovoce
che si deve vivere di ricordi solo
quando mi sono rimasti pochi giorni.
Quello che è passato
è come se non ci fosse mai stato.
Il passato è un laccio che
stringe la gola alla mia mente
e toglie energie per affrontare il mio presente.
Il passato è solo fumo
di chi non ha vissuto.
Quello che ho già visto
non conta più niente.
Il passato ed il futuro
non sono realtà ma solo effimere illusioni.
Devo liberarmi del tempo
e vivere il presente giacché non esiste altro tempo
che questo meraviglioso istante”
che si deve vivere di ricordi solo
quando mi sono rimasti pochi giorni.
Quello che è passato
è come se non ci fosse mai stato.
Il passato è un laccio che
stringe la gola alla mia mente
e toglie energie per affrontare il mio presente.
Il passato è solo fumo
di chi non ha vissuto.
Quello che ho già visto
non conta più niente.
Il passato ed il futuro
non sono realtà ma solo effimere illusioni.
Devo liberarmi del tempo
e vivere il presente giacché non esiste altro tempo
che questo meraviglioso istante”
E poi
come donna di casa non valgo un tubo, come madre nemmeno, anche se ho sempre
sentito la maternità; sono una madre nata, però non una madre che spolvera, che
sta attenta che il bambino non sporchi, non si faccia una macchia: sono una
madre morale, mentale, custode dei figli. Leggo molto. Il mio papà è abbonato
al Parigi, ha parecchi libri,
compresa la Commedia del Dorè che io
gli rubo per poi andare sotto il letto e
leggerla; guardo questi uomini nudi, tremendi, ritratti a capofitto. Lì imparo
a memoria la prima cantica… ho una memoria prodigiosa: me ne sono resa conto
dopo, e l’ho esercitata molto, anche a
scuola. Il lirismo che è in me è sempre andato di pari passo con
un’inclinazione alla musica alla quale mi hanno educata fin da bambina. Adoro
la musica e la trovo più efficace della poesia.
“I poeti lavorano di notte
quando il tempo non urge su di
loro,
quando tace il rumore della
folla
e termina il linciaggio delle
ore.
I poeti lavorano nel buio
come falchi notturni od
usignoli
dal dolcissimo canto
e temono di offendere Iddio.
Ma i poeti, nel loro silenzio
fanno ben più rumore
di una dorata cupola di stelle”
Durante lo sfollamento ho tanto tempo libero e
comincio a suonare il pianoforte. Dopo il bombardamento del 14 ottobre 1943
lasciamo una Milano senza vita: è diventata un rogo, la gente scappa
dappertutto, si strappa i capelli, i rifugi si riempiono di morti. E’ il tempo
in cui Quasimodo scrive: “E come potevamo
noi cantare con il piede straniero sopra il cuore coi morti abbandonati nelle
piazze”. Io e la mia famiglia ci salviamo miracolosamente e sfolliamo a Vercelli
dove praticamente andiamo a vivere nelle risaie ed io stessa vado a fare la
mondina. Passano tre inverni tremendi,ho 12 anni, mia madre è divenuta inservibile,
Anna corteggia i tedeschi: in quella sarabanda molti diventano ricchi a spese
dei poveri diavoli.
Finita la guerra, torniamo a Milano e
troviamo casa sul Naviglio, in un unico locale dove siamo in cinque e si dorme
per terra: c’è una grande povertà, ma anche molta fratellanza.
Nell’età dello sviluppo divento una ragazzona
molto prosperosa, ma come tutte voglio piacere, e allora faccio una poderosa
cura dimagrante a base di non mangiare,
per cui mi guadagno un esaurimento
nervoso e un’anoressia potente che poi
ho curato con lo shock da insulina per recuperare peso. Dopo non ne ho voluto
più saperne, di peso. Mi viene anche una cecità isterica: per tre anni sono
cieca e vado in giro per oculisti finchè a Torino non mi fanno il pentotal, il
siero della verità, e scoprono che ci vedo benissimo.
Comincio a comporre le prime liriche a
quindici anni e il primo, autentico incontro con il mondo letterario avviene
nel 1947, quando amici di amici le fanno leggere a Giacinto Spagnoletti,
considerato il mio primo scopritore. A casa di Spagnoletti conosco, fra gli
altri, Giorgio Manganelli, Davide Turoldo, Maria Corti, Luciano Erba e Pasolini.
Ha un carattere orribile Pierpaolo,non è simpatico, è rigoroso e ancora di più
noioso, scontroso e burbero, ma determinato. Forse lo ho anche amato. Riesco
però a strappargli quella definizione di “ragazzetta milanese” che contribuisce
ad aprirmi le porte del successo. Il Manganelli, invece, mi sbircia sempre il
decoltè; io non capisco,sono ancora una bambina. Così nasce questa grande,
affettuosa amicizia prima di amarci: io una bambina, lui un professore. Ma il
'47 è anche l'anno in cui si manifestano i primi sintomi della mia “malattia”:nella clinica Villa Turro vado di
mia volontà, non sono internata. I miei
genitori mi chiedono se voglio essere curata e io accetto, nessuno viene a
prendermi. Le cliniche non sono i manicomi, viene tutto sottaciuto, c’è un
rigore, si paga. Se, in seguito, mi avessero messo in un ospizio del genere,
non sarebbe saltata fuori l’Alda Merini matta. Esco dopo un mese di ricovero e,
una volta dimessa, ricevo l'aiuto degli amici più cari.(fine I parte)
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