lunedì 18 giugno 2012

Notte prima degli esami ...e altro


Notte prima degli esami …..e altro

Qualche riga, non tanto, per non cadere nella retorica….più che altro per tenerci “compagnia” in questa serata. Il concetto di compagnia, da  cum+panis,  ci riporta alla condivisione del pane, della mensa, dell’amicizia, ma anche della cultura, della poesia, della storia. E com-pagnia ci siamo fatti  durante tutto l’anno: compagni di viaggio, più che altro, di un viaggio per me e per voi molto importante. Quando sono arrivata al Fonseca avevo, per così dire, “le ossa rotte”, vinta da ultimi e pesanti anni di insegnamento in un contesto a cui ho dato troppo …e da cui troppo mi aspettavo. Quando ho conosciuto le mie classi, tutte le mie classi, la I, la II, la IV e la V A del linguistico, ero certa di “non saper più insegnare”, o meglio credevo che, lontano dal Galilei, non avrei saputo farlo. Troppi anni nello stesso posto! Tutti mi avete aiutato a riacquistare fiducia in me stessa, in quello che so e in cui credo, mi avete ridato l’idea di una scuola nella quale si può star bene e svolgere la propria professione con serietà, sia pur tra tensioni e difficoltà. Senza ipocrisie, semplicemente rispettando se stessi e gli altri. Ci siamo avventurati rimanendo ciascuno nel proprio ruolo, io di docente, voi di studenti, senza mai confondere o confonderci. Voi avete permesso a me di ri-trovarmi e di tirar fuori quella “scintilla” che infiamma la mente, sollecita la curiositas, riscalda il cuore. Di tutto questo vi sono grata. Alla quinta rivolgo un enorme in bocca al lupo, ma non solo per l’esame, bensì per tutto quel che c’è dopo, che dovrete affrontare “da soli”, senza voto o giudizio se non quello che voi stessi vi sarete dati, senza mollare anche se giacete a terra, guardando “oltre la siepe” e non solo con l’immaginazione. Alla quarta lo stesso in bocca al lupo per il prossimo anno, che vi veda impegnati e mai distratti dal progetto che ciascuno ha per se stesso. Alla seconda che lascio: siete dei teneroni, “simpatiche canaglie” che faranno belle cose e otterranno significativi traguardi, cercate di trovare un metodo di studio che sia efficace e migliorabile nel tempo, così da sostenervi nel cammino molto impegnativo che vi attende. Alla prima, che rivedrò a settembre, dico che finora abbiamo scherzato…..ora è già tempo di crescere. A tutti: AD MAIORA!
Giuliana Del Pozzo, prof.

Alcune poesie ed una libera interpretazione


Ultima parte della storia di Alda con una libera interpretazione...che è quella che preferisco


 ALCUNE POESIE

Pianto dei poeti
Ruba a qualcuno la tua forsennata stanchezza
o gemma che trapassi il suono
col tuo respiro l'ombra che sta ferma
di fronte ad un porto di paura
quel trascendere il mito
come se fosse forzatamente azzurro
o chi senza abbandono
che non sanno che il pianto dei poeti
è solo canto.
Canto rubato al vecchio del portone
rubato al remo del rematore
alla ruota dell'ultimo carro
o pianto di ginestra
dove fioriva l'amatore immoto

Superba è la notte
La cosa più superba è la notte 
quando cadono gli ultimi spaventi 
e l'anima si getta all'avventura. 
Lui tace nel tuo grembo 
come riassorbito dal sangue 
che finalmente si colora di Dio 
e tu preghi che taccia per sempre 
per non sentirlo come rigoglio fisso 
fin dentro le pareti.
A tutte le donne
        Fragile, opulenta donna, matrice del paradiso            
sei un granello di colpa
anche agli occhi di Dio
malgrado le tue sante guerre
per l'emancipazione.
Spaccarono la tua bellezza
e rimane uno scheletro d'amore
che però grida ancora vendetta
e soltanto tu riesci
ancora a piangere,
poi ti volgi e vedi ancora i tuoi figli,
poi ti volti e non sai ancora dire
e taci meravigliata
e allora diventi grande come la terra
e innalzi il tuo canto d'amore.

Alda Merini

Amai teneramente dei dolcissimi amanti
senza che essi sapessero mai nulla.
E su questi intessei tele di ragno
e fui preda della mia stessa materia.
In me l’anima c’era della meretrice
della santa della sanguinaria e dell’ipocrita.
Molti diedero al mio modo di vivere un nome
e fui soltanto una isterica.

Ieri ho sofferto il dolore

Ieri ho sofferto il dolore,
non sapevo che avesse una faccia sanguigna,     
le labbra di metallo dure,
una mancanza netta d'orizzonti.
Il dolore è senza domani,
è un muso di cavallo che blocca
i garretti possenti,
ma ieri sono caduta in basso,
le mie labbra si sono chiuse
e lo spavento è entrato nel mio petto
con un sibilo fondo
e le fontane hanno cessato di fiorire,
la loro tenera acqua
era soltanto un mare di dolore
in cui naufragavo dormendo,
ma anche allora avevo paura
degli angeli eterni.
Ma se sono così dolci e costanti,
perchè l'immobilità mi fa terrore?
 









  
LIBERA INTERPRETAZIONE
Sin dai primi componimenti si intuiscono quelli che saranno motivi ricorrenti nella poetica della Merini: l'intreccio di temi erotici e mistici, di luci e di ombre, il tutto amalgamato da una concentrazione stilistica notevole, che nell'arco degli anni lascerà spazio a una poesia più immediata, intuitiva,evocata.  L’esperienza del manicomio fa da spartiacque nell’ambito della sua prolifica produzione e delle sue scelte poetiche:si tratta di  liriche di un'intensità potente, dove la realtà lascia il posto all'idea stessa del reale, sublimata e deformata dal delirio della follia. Ed è proprio l’aver abitato in questo “dove” profondo che ha caricato via via la poesia di Merini di quell’attualità mostruosa che lo spettro della malattia mentale rappresenta. Si sa che il confine tra genialità e follia è sottile, che tanti intellettuali ed artisti vissuti tra la fine dell’Ottocento e lungo tutto il Novecento sono passati attraverso l’inferno della solitudine e della diversità, ma mai come in questa poetessa il lirismo si è trasfigurato in urlo e i suoi versi in un racconto dissacrante di cui femminilità, maternità, spiritualità e pazzia rappresentano i nuclei fondanti.  La produzione letteraria di Merini diventa molto lentamente, nel panorama letterario degli ultimi decenni del secolo, la più alta dimostrazione di una poesia che nasce dall'emozione, improvvisa e violenta, mai ritoccata nè riletta. Una scrittura nata di getto, sull'onda del pensiero che si fa man mano sempre più astratto, simbolico. Una ricognizione, per epifanie, deliri, nenie, canzoni, disvelamenti e apparizioni, di uno spazio - non un luogo - in cui, venendo meno ogni consuetudine e accortezza quotidiana, irrompe il naturale inferno dell'essere umano. C’è ancora un motivo che rende Merini così speciale: l’essere riuscita a fare della follia una materia di canto e, sola tra tanti, emancipare se stessa da quella condizione di “anonimato” a cui la malattia mentale destina chi ne è colpito e la sua famiglia.
Dedico questo lavoro a mia zia Rosa che è morta anonima.
“Anche la follia merita i suoi applausi” (A. Merini)

giovedì 7 giugno 2012

"Preghiera per uno che si è perso"


Questo Blog comincia a piacermi…..

 Per tutte le volte in cui ci sembrerà di aver ”perso la strada”rileggiamo da OCEANO MARE di A. Baricco la “Preghiera per uno che si è perso, e dunque, a dirla tutta, preghiera per me.

Signore Buon Dio,
abbiate pazienza
sono di nuovo io.

Dunque, qui le cose vanno bene,
chi più chi meno, ci si arrangia,
in pratica, si trova sempre il modo,
il modo di cavarsela, voi mi capite,
insomma, il problema non è questo.
Il problema sarebbe un altro,
se avete la pazienza di ascoltare
di ascoltarmi
di.
Il problema è questa strada, bella strada
questa strada che scorre e soccorre
ma non scorre dritta come potrebbe
e nemmeno storta come saprebbe,
no.
Curiosamente si disfa.
Credetemi (per una volta credete voi a me)
si disfa.
Dovendo riassumere dovendo,
se ne va un po’ di qua e un po’ di là
presa da improvvisa libertà.
Chissà.
Adesso, non per sminuire, ma dovrei spiegarvi questa cosa, che è cosa da uomini, e non è cosa da Dio, di quando la strada che si ha davanti si disfa, si perde, si sgrana, si eclissa, non so se avete presente, ma è facile che non abbiate presente, è una cosa da uomini, in generale, perdersi. Non è roba da Voi. Bisogna che abbiate pazienza e mi lasciate spiegare. Faccenda di un attimo. Innanzitutto non dovete farvi fuorviare dal fatto che, tecnicamente parlando, non si può negarlo, questa strada che corre scorre soccorre, sotto le ruote di questa carrozza, effettivamente, volendo attenersi ai fatti, non si disfa affatto. Tecnicamente parlando. Continua dritta, senza esitazioni, neanche un timido bivio, niente. Dritta come un fuso. Lo vedo da me. Ma il problema, lasciatevelo dire, non sta qui. Non è di questa strada, fatta di terra e polvere e sassi, che stiamo parlando. La strada in questione è un’altra. E corre non fuori, ma dentro. Qui dentro. Non so se avete presente: la mia strada. Ne hanno tutti una, lo saprete anche voi, che, tra l’altro, non siete estraneo al progetto di questa macchina che siamo, tutti quanti, ognuno a modo suo. Una strada dentro, ce l’hanno tutti, cosa che facilita, per lo più, l’incombenza di questo viaggio nostro, e solo raramente, la complica. Adesso è uno di quei momenti che la complica. Volendo riassumere volendo, è quella strada, quella dentro, che si disfa, si è disfatta, benedetta, non c’è più. Succede. Credetemi. E non  è una cosa piacevole. No.(……………..)
Come vedete, non è che io non abbia le idee chiare, le ho chiarissime ma solo fino a un certo punto della questione. So perfettamente qual è la domanda. E’ la risposta che mi manca. Corre, questa carrozza, e io non so dove. Penso alla risposta, e nella mia mente diventa buio.
Così questo buio
io lo prendo e lo metto
nelle vostre mani.
E vi chiedo
Signore Buon Dio
di tenerlo con voi
un’ora soltanto,
tenervelo in mano
quel tanto che basta
per scioglierne il nero
per sciogliere il male
che fa nella testa quel buio
e nel cuore quel nero,
vorreste?
Potreste anche solo chinarvi
guardarlo
sorriderne
aprirlo
rubargli una luce e lasciarlo cadere
che tanto a trovarlo ci penso poi io
a vedere dov’è.
Una cosa da nulla per voi,
 così grande per me.
Mi ascoltate
Signore Buon Dio?
Non è chiedervi tanto chiedervi se.
Non è offesa sperare che voi.
Non è sciocco illudersi di.
E’ poi solo una preghiera,
è un modo di scrivere il profumo dell’attesa.
Scrivete voi, dove volete,
il sentiero che ho perduto.
Basta un segno, qualcosa, un graffio leggero
sul vetro di questi occhi
che guardano senza vedere,
io lo vedrò.
Scrivete sul mondo una sola parola scritta per me,
la leggerò.
Sfiorate un istante di questo silenzio,
lo sentirò.
Non abbiate paura,
io non ne ho.

E scivoli via questa preghiera
Con la forza delle parole
Oltre la gabbia del mondo
Fino a chissà dove.
Amen.”                                                                                             

Io insegno perchè....


L'anno scorso io e i miei studenti del Liceo Galilei ci siamo cimentati a scrivere un elenco..
io del perchè insegno...loro del perchè studiano.....
 Questo post è per tutti loro..che sempre mi mancano
IO INSEGNO PERCHE’……

Avevo 5 anni e giocavo a fare la maestra
Ho avuto una maestra eccezionale che si chiamava  Adele
Mi piaceva leggere di tutto
Mi piaceva scrivere
Mi piaceva di più parlare
Ho frequentato il Liceo Pansini
Ho imparato tantissimo dai miei professori
A scuola ho litigato col prof di destra
…………anche con quello di sinistra
Quando frequentavo l’Università non c’era la Gelmini
Quando ho cominciato ad insegnare  avevo 22 anni
Il mio alunno più grande ha compiuto da poco 40 anni
IO INSEGNO LETTERE PERCHE’ mi piacciono Euripide, Virgilio, Leopardi, Kant e De Andrè
Esco di casa ogni mattina
Mi dà la possibilità di continuare a studiare
………….e di pensare anche
Mi sento “giovane”
L’insegnante è una specie in estinzione
…..l’alunno anche
Non saprei fare niente altro
Talvolta comincio a desiderare  di fare altro………..








La seconda parte della storia di Alda


 Rieccomi dopo qualche giorno per pubblicare la II parte del lavoro su Alda Merini. In realtà non è ancora tutto...purtroppo per voi!!

 Così scrive Maria Corti nell'introduzione a “Vuoto d'amore”: «[...] ogni sabato pomeriggio lei e Manganelli salivano le lunghe scale senza ascensore del mio pied-à-terre in via Sardegna e io li guardavo dalla tromba della scala: solo Dio poteva sapere che cosa sarebbe stato di loro. Manganelli più di ogni altro l'aiutava a raggiungere coscienza di sé, a giocarsi bene il destino della scrittura al di là delle ombre di Turro».Poi un giorno la lasciò..

Dopo la partenza di Manganelli da Milano, nel periodo che va dal '50 al '53, comincia la storia con  Salvatore Quasimodo che si  rivela una persona molto equilibrata che non mi da dolori: molto più dolce di Manganelli, non chiede di essere capito, di essere lui il centro della relazione. Comunque anche lui è una persona pesante: non posso parlare di grandi amori, ma di grandi uomini, con i quali il rapporto è difficilissimo. A Quasimodo ho dedicato le Due poesie per Q:
I.
“Padre che fosti a me, grande poeta,
bene ricordo la tua cetra viva
e le tue dita bianche affusolate
che varcavano il solco del mio seno.
E io ricordo tutto, le bufere
i venti aperti e quella confusione
che trovava la nostra poesia.
Parlavamo il linguaggio dei poeti
casto, accorato senza delusioni
o eravamo delusi di noi stessi
poveri, confinati nello spazio
come astronauti sulla stessa luna”.
Nel 1950 Spagnoletti pubblica nell'antologia “Poesia italiana contemporanea 1909-1949” le due liriche “Il gobbo” e “Luce”. L'anno successivo le stesse liriche, insieme con altri due componimenti, vengono incluse da Vanni Scheiwiller nel volume “Poetesse del Novecento”, su consiglio di Eugenio Montale e Maria Luisa Spaziani.
 “Dalla solita sponda del mattino
io mi guadagno palmo a palmo il giorno:
il giorno dalle acque così grigie,
dall'espressione assente.
Il giorno io lo guadagno con fatica
tra le due sponde che non si risolvono,
insoluta io stessa per la vita
... e nessuno m'aiuta.
Mi viene a volte un gobbo sfaccendato,
un simbolo presago d'allegrezza
che ha il dono di una stana profezia.
E perché vada incontro alla promessa
lui mi traghetta sulle proprie spalle”.
 Nel 1953 sposo Ettore Carniti, proprietario di alcune panetterie a Milano. Purtroppo accade che, incinta della mia prima figlia Emanuela, muore mio padre a 53 anni: un grande dolore che deve aver influito sulla crescita prenatale della bambina, nata con seri deficit fisici. Al pediatra della bambina, Pietro, dedico la raccolta Tu sei Pietro con la quale ho vinto in Svizzera il Premio Gamberoni e ottenuto la cittadinanza elvetica.
Segue un silenzio durato vent'anni.
Sono sempre stata anch’io una bambina sempre ammalata, delicata e molto emotiva; avevo avuto quel terribile esaurimento ed ecco che in questi anni ricado in una terribile precarietà psicologica a causa della quale nel 1965 vengo forzatamente internata nel manicomio “Paolo Pini”. Sono sposa e madre felice (ho già due figlie), anche se talvolta do segni di stanchezza e mi si intorpidisce la mente. Provo a parlare di queste cose a mio marito, ma lui non fa cenno di comprenderle e così il mio esaurimento si aggrava. Morendo mia madre le cose peggiorano, tanto che un giorno vado in escandescenze e mio marito non trova di meglio che chiamare un’ambulanza, non prevedendo certo che mi avrebbero portata in manicomio. Ma allora le leggi erano precise e ancora la donna era soggetta all’uomo che poteva prendere decisioni sul suo avvenire. Non è difficile far internare una persona, ma se mi chiedessero di far fare un giorno di internamento a qualcuno, piuttosto che dir di sì preferirei morire.
“Il manicomio è una grande cassa
con atmosfere di suono
e il delirio diventa specie,
l'anonimità misura,
il manicomio è il monte Sinai
luogo maledetto
sopra cui tu ricevi
le tavole di una legge
agli uomini sconosciuta.
*
Quando ci mettevano un cappio al collo
E ci buttavano sulle brandine ignude
In mezzo a cocci di orrende bottiglie
Per favorire l’autoannientamento,
era in quel momento che sulle fronti madide
compariva il sudore degli orti sacri
degli orti innominati degli ulivi

Quando gli infermieri bastardi
Ci sollevavano le gonne putride
Per vedere se anche noi avevamo un sesso-ragione
E ridevano,ghignavano verde
Era in quel momento preciso
Che volevamo la lapidazione”
 Il manicomio è stato un’esperienza atroce: appena mi ci trovo nel mezzo dai miei visceri parte un urlo lancinante, un’invocazione spasmodica diretta ai miei figli e mi metto a urlare e calciare con tutta la forza che ho dentro. Vengo legata e martellata di iniezioni calmanti.
Non era forse la mia una ribellione umana?
 Dopo qualche giorno viene mio marito ma io non voglio seguirlo avendo imparato a riconoscere in lui un nemico. Esco definitivamente nel 1972 ma l'alternanza di periodi di lucidità e follia continua fino al '79, dovuti probabilmente alla sindrome bipolare, della quale, se mi può consolare, hanno patito anche altri grandi poeti ed artisti quali Charles Baudelaire, Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald, Lord Byron e Virginia Woolf.
Nel 1979 il silenzio è finalmente rotto e inizio a lavorare su quello che è stato considerato il mio capolavoro: “La Terra Santa”, vincitrice del Premio Librex Montale nel 1993.
 “Le più belle poesie
si scrivono sopra le pietre
coi ginocchi piagati
e le menti aguzzate dal mistero.
Le più belle poesie si scrivono
davanti a un altare vuoto,
accerchiati da agenti
della divina follia.
Così, pazzo criminale qual sei
tu detti versi all'umanità,
i versi della riscossa
e le bibliche profezie
e sei fratello di Giona.
Ma nella Terra Promessa
dove germinano i pomi d'oro
e l'albero della conoscenza
Dio non è mai disceso né ti ha mai maledetto.
Ma tu sì, maledici
ora per ora il tuo canto
perché sei sceso nel limbo,
dove aspiri l'assenzio
di una sopravvivenza negata”
Nel 1981 muore Ettore Carniti ed io, rimasta sola,stringo un'amicizia a distanza con il poeta tarantino Michele Pierri. L'intesa fra noi  si fa sempre più forte, malgrado i trent'anni e la distanza che ci separano. Nel 1983 dedico a lui e alla memoria di mio padre le raccolta Rime petrose, le liriche Per Michele Pierri e Le satire della Ripa. Nell'ottobre dello stesso anno ci sposiamo e ci trasferiamo a Taranto e lui, che era stato medico prima di dedicarsi interamente alla poesia — si prende cura di me. Sempre nello stesso periodo, giunti al 1985, ultimo la stesura del mio primo testo in prosa L'altra verità. Diario di una diversa.
Questi anni di apparente tranquillità vengono però deturpati dal riaffacciarsi del demone della follia e sperimento nuovamente le torture dell'ospedale psichiatrico a Taranto, in cui mi hanno usato violenza e dato l’olio di ricino: vado poi da Montanelli per far chiudere quel manicomio. A Taranto ricevo il Premio Cittadella ex aequo con mio marito Michele. Nell'86 ritorno a Milano e riprendo a frequentare gli amici di un tempo; ricomincio a scrivere con continuità per non smettere mai più.. Nel 1996 l'Académie française mi propone per ricevere il premio Nobel per la letteratura.
Nel 2002 esce per Frassinelli “Magnificat” che riflette il mio incontro con Maria, di cui mi colpisce  soprattutto l'aspetto più umano e femminile e che, nel settembre dello stesso anno, mi vale il Premio Dessì per la poesia. La verginità, il dogma della verginità, è possibile. In manicomio ho visto tante gravidanze isteriche portate fino all’ultimo, si sente persino il battito cardiaco del bambino,ma queste donne non partoriscono niente: la mente umana è un prodigio.
 “La mia poesia è alacre come il fuoco,
trascorre tra le mie dita come un rosario.
Non prego perché sono un poeta della sventura
che tace, a volte, le doglie di un parto dentro le ore,
sono il poeta che grida e che gioca con le sue grida,
sono il poeta che canta e non trova parole,
sono la paglia arida sopra cui batte il suono,
sono la ninnanànna che fa piangere i figli,
sono la vanagloria che si lascia cadere,
il manto di metallo di una lunga preghiera
del passato cordoglio che non vede la luce”
Nel febbraio del 2004 vengo ricoverata all'Ospedale San Paolo di Milano per problemi di salute. Da tutta Italia vengono inviate e-mail a sostegno dell’ appello lanciato da un caro amico che richiede per me aiuto economico. Nel mese successivo esce l'album, intitolato “Milva canta Merini”, che contiene undici motivi cantati da Milva tratti dalle mie poesie e musicati da Giovanni Nuti. Il 21 marzo, in occasione del mio settantatreesimo compleanno, alla mia presenza viene eseguito un recital al Teatro Strehler di Milano e viene presentato il disco. Nel 2005 pubblico con Giovanni Nuti l’album “Poema della croce”, opera sacra tratta dall’omonimo testo religioso, che viene anche rappresentata nel Duomo di Milano con me recitante nel ruolo di Maria. Nel 2009 esce il documentario “Alda Merini, una donna sul palcoscenico”, del regista Cosimo Damiano Damato, presentato alle Giornate degli Autori della 66ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia. Il film vede la partecipazione di Mariangela Melato e le fotografie di Giuliano Grittini. Dal mio incontro col regista nasce una grande amicizia e tante poesie inedite che abbiamo inserito nel documentario:
Un giorno io ho perso una parola/sono venuta qui per dirvelo e non perché voi abbiate risposta/ Non amo i dialoghi o le domande: mi sono accorta che cantavo in una orchestra che non aveva voci/ Ho meditato a lungo sul silenzio, al silenzio non c’è risposta./ Io le mie poesie le ho buttate/ non avevo fogli su cui scriverle./ Poi mi si sono avvicinati strani animali come uomini di antenate bestie da manicomio/ qualcuno mi ha aiutato a sentirmi unica, mi ha guardato./ Pensavo che per loro non c’erano semafori, castelli e strade./ Questo posto sgangherato come il mio cervello che ha trovato solitudini./ Poi è venuto un santo che aveva qualcosa da dare/ un santo che non aveva le catene,non era un malfattore,/ l’unica cosa che avevo avuto in questi anni./ L’avrei seguito/ finché un giorno non sapevo più innamorarmi./ È venuto un santo che mi ha illuminato come una stella./ Un santo mi ha risposto: perché non ti ami? È nata la mia indolenza./ Non vedo più gente che mi picchia e non vedo più i manicomi./ Sono morta nell’indolenza.

"Clinica dell'abbandono" è la raccolta che riunisce i versi degli ultimi anni.
“Non avessi sperato in te
e nel fatto che non sei un poeta
di solo amore
tu che continui a dirmi
che verrai domani
e non capisci che per me
il domani e’ gia’ passato (…)
Ti aspetto e ogni giorno
mi spengo poco per volta
e ho dimenticato il tuo volto.
Mi chiedono se la mia disperazione
sia pari alla tua assenza
no, è qualcosa di più:
è un gesto di morte fissa
che non ti so regalare”
.

Muoio il 1º novembre 2009 a causa di un tumore all'ospedale San Paolo di Milano. Il 4 novembre ricevo i funerali di stato; i frati francescani di Assisi, raggiunti dalla notizia, si riuniscono in preghiera,affezionati a me e al mio scontroso e dolcissimo modo di esistere.
L’anno dopo continuo a pubblicare con un album postumo dal titolo “Una piccola ape furibonda”.(fine della II parte)



lunedì 4 giugno 2012

Benvenuti su questo blog


Benvenuti sul mio

 Un evento inaspettato anche per me stessa è quello di scrivere su una pagina che non sia "cartacea" ma, come si dice, anche "i più vetusti" talvolta sono costretti ad arrendersi alla modernità. Il mezzo cambia, ma l'anima che racconta è la stessa.

Comincio con la prima puntata del lavoro che ho curato su Alda Merini per i miei alunni della V A del liceo Linguistico "Fonseca". A presto

Giuliana

 

 

................................................................

La poesia “maledetta” di Alda Merini
Biografia lirica scritta da me stessa

a cura di
Giuliana Del Pozzo




“A tutti i giovani raccomando:aprite i libri con religione,
 non guardateli superficialmente,
 perché in essi è racchiuso
il coraggio dei nostri padri”
                                                                                                                   (da “La vita facile”)

 

 “Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera”.

                                                                 Il mio nome è Alda Giuseppina Angela Merini e nasco a Milano il 21 marzo 1931; in famiglia c’è già mia sorella Anna, poi nascerà Ezio. Mio padre Nemo, impiegato delle Assicurazioni Generali Venezia, è un valente scrittore di casa, quindi che non pubblica, ma che  mi impedisce di continuare gli studi che preferisco. Dopo aver terminato il ciclo elementare con voti molto alti, frequento infatti i tre anni di avviamento al lavoro presso la scuola per sole donne "Laura Solera Mantegazza” in via Ariberto a Milano e cerco, senza riuscirci per non aver superato la prova di italiano, di essere ammessa al Liceo Manzoni. Mia madre, Emilia Painelli, è casalinga: una persona molto semplice che, pur figlia di un insegnante, non ha voluto studiare. Una donna pratica, determinata, ma  proprio la negazione della cultura. E’ anche una donna bellissima, tanto che noi tre figli sembriamo la sua brutta copia. Una persona  autoritaria e prevaricante, non le si può confidare un amore, una disobbedienza che ti castiga comunque. Anche i miei fratelli sono vittime di questo autoritarismo; mia sorella è molto timida, reagisce appartandosi, mentre mio fratello si vendica tirando con la cerbottana i bussolotti nelle orecchie di mia madre. Dopo le scuole elementari voglio entrare in un convento a Vercelli poichè sento dentro di me una grande vocazione:  a casa nessuno  mi approva perché sostengono che potrei essere una buona madre.
Io ho fatto una vita esattamente contro la mia volontà e lì mi sono persa.
“Spesso ripeto sottovoce
che si deve vivere di ricordi solo
quando mi sono rimasti pochi giorni.
Quello che è passato
è come se non ci fosse mai stato.
Il passato è un laccio che
stringe la gola alla mia mente
e toglie energie per affrontare il mio presente.
Il passato è solo fumo
di chi non ha vissuto.
Quello che ho già visto
non conta più niente.
Il passato ed il futuro
non sono realtà ma solo effimere illusioni.
Devo liberarmi del tempo
e vivere il presente giacché non esiste altro tempo       
che questo meraviglioso istante”

E poi come donna di casa non valgo un tubo, come madre nemmeno, anche se ho sempre sentito la maternità; sono una madre nata, però non una madre che spolvera, che sta attenta che il bambino non sporchi, non si faccia una macchia: sono una madre morale, mentale, custode dei figli. Leggo molto. Il mio papà è abbonato al Parigi, ha parecchi libri, compresa la Commedia del Dorè che io gli rubo per poi  andare sotto il letto e leggerla; guardo questi uomini nudi, tremendi, ritratti a capofitto. Lì imparo a memoria la prima cantica… ho una memoria prodigiosa: me ne sono resa conto dopo, e l’ho esercitata molto, anche a  scuola. Il lirismo che è in me è sempre andato di pari passo con un’inclinazione alla musica alla quale mi hanno educata fin da bambina. Adoro la musica e la trovo più efficace della poesia.

“I poeti lavorano di notte
quando il tempo non urge su di loro,
quando tace il rumore della folla
e termina il linciaggio delle ore.
I poeti lavorano nel buio
come falchi notturni od usignoli
dal dolcissimo canto
e temono di offendere Iddio.
Ma i poeti, nel loro silenzio
fanno ben più rumore
di una dorata cupola di stelle”
                             
 Durante lo sfollamento ho tanto tempo libero e comincio a suonare il pianoforte. Dopo il bombardamento del 14 ottobre 1943 lasciamo una Milano senza vita: è diventata un rogo, la gente scappa dappertutto, si strappa i capelli, i rifugi si riempiono di morti. E’ il tempo in cui Quasimodo scrive: “E come potevamo noi cantare con il piede straniero sopra il cuore coi morti abbandonati nelle piazze”. Io e la mia famiglia ci salviamo miracolosamente e sfolliamo a Vercelli dove praticamente andiamo a vivere nelle risaie ed io stessa vado a fare la mondina. Passano tre inverni tremendi,ho 12 anni, mia madre è divenuta inservibile, Anna corteggia i tedeschi: in quella sarabanda molti diventano ricchi a spese dei poveri diavoli.
Finita la guerra, torniamo a Milano e troviamo casa sul Naviglio, in un unico locale dove siamo in cinque e si dorme per terra: c’è una grande povertà, ma anche molta fratellanza.
Nell’età dello sviluppo divento una ragazzona molto prosperosa, ma come tutte voglio piacere, e allora faccio una poderosa cura dimagrante a base di non mangiare, per cui mi  guadagno un esaurimento nervoso e  un’anoressia potente che poi ho curato con lo shock da insulina per recuperare peso. Dopo non ne ho voluto più saperne, di peso. Mi viene anche una cecità isterica: per tre anni sono cieca e vado in giro per oculisti finchè a Torino non mi fanno il pentotal, il siero della verità, e scoprono che ci vedo benissimo.
Comincio a comporre le prime liriche a quindici anni e il primo, autentico incontro con il mondo letterario avviene nel 1947, quando amici di amici le fanno leggere a Giacinto Spagnoletti, considerato il mio primo scopritore. A casa di Spagnoletti conosco, fra gli altri, Giorgio Manganelli, Davide Turoldo, Maria Corti, Luciano Erba e Pasolini. Ha un carattere orribile Pierpaolo,non è simpatico, è rigoroso e ancora di più noioso, scontroso e burbero, ma determinato. Forse lo ho anche amato. Riesco però a strappargli quella definizione di “ragazzetta milanese” che contribuisce ad aprirmi le porte del successo. Il Manganelli, invece, mi sbircia sempre il decoltè; io non capisco,sono ancora una bambina. Così nasce questa grande, affettuosa amicizia prima di amarci: io una bambina, lui un professore. Ma il '47 è anche l'anno in cui si manifestano i primi sintomi della mia  “malattia”:nella clinica Villa Turro vado di mia volontà, non sono  internata. I miei genitori mi chiedono se voglio essere curata e io accetto, nessuno viene a prendermi. Le cliniche non sono i manicomi, viene tutto sottaciuto, c’è un rigore, si paga. Se, in seguito, mi avessero messo in un ospizio del genere, non sarebbe saltata fuori l’Alda Merini matta. Esco dopo un mese di ricovero e, una volta dimessa, ricevo l'aiuto degli amici più cari.(fine I parte)