Rieccomi dopo qualche giorno per pubblicare la II parte del lavoro su Alda Merini. In realtà non è ancora tutto...purtroppo per voi!!
Così
scrive Maria Corti nell'introduzione a “Vuoto
d'amore”: «[...] ogni sabato pomeriggio lei e Manganelli salivano le
lunghe scale senza ascensore del mio pied-à-terre
in via Sardegna e io li guardavo dalla tromba della scala: solo Dio poteva
sapere che cosa sarebbe stato di loro. Manganelli più di ogni altro l'aiutava a
raggiungere coscienza di sé, a giocarsi bene il destino della scrittura al di
là delle ombre di Turro».Poi un giorno la lasciò..
Dopo la
partenza di Manganelli da Milano, nel periodo che va dal '50 al '53, comincia
la storia con Salvatore Quasimodo che
si rivela una persona molto equilibrata che
non mi da dolori: molto più dolce di Manganelli, non chiede di essere capito,
di essere lui il centro della relazione. Comunque anche lui è una persona
pesante: non posso parlare di grandi amori, ma di grandi uomini, con i quali il
rapporto è difficilissimo. A Quasimodo ho dedicato le Due poesie per Q:
I.
“Padre
che fosti a me, grande poeta,
bene ricordo la tua cetra viva
e le tue dita bianche affusolate
che varcavano il solco del mio seno.
E io ricordo tutto, le bufere
i venti aperti e quella confusione
che trovava la nostra poesia.
Parlavamo il linguaggio dei poeti
casto, accorato senza delusioni
o eravamo delusi di noi stessi
poveri, confinati nello spazio
come astronauti sulla stessa luna”.
Nel 1950
Spagnoletti pubblica nell'antologia
“Poesia italiana contemporanea 1909-1949” le due liriche “Il gobbo” e “Luce”. L'anno successivo le stesse liriche, insieme con altri
due componimenti, vengono incluse da Vanni Scheiwiller nel volume “Poetesse del Novecento”, su consiglio
di Eugenio Montale e Maria Luisa Spaziani.
“Dalla solita sponda del mattino
io mi guadagno palmo a palmo il giorno:
il giorno dalle acque così grigie,
dall'espressione assente.
Il giorno io lo guadagno con fatica
tra le due sponde che non si risolvono,
insoluta io stessa per la vita
... e nessuno m'aiuta.
Mi viene a volte un gobbo sfaccendato,
un simbolo presago d'allegrezza
che ha il dono di una stana profezia.
E perché vada incontro alla promessa
lui mi traghetta sulle proprie spalle”.
Nel 1953 sposo Ettore Carniti, proprietario
di alcune panetterie a Milano. Purtroppo accade che, incinta della mia prima
figlia Emanuela, muore mio padre a 53 anni: un grande dolore che deve aver
influito sulla crescita prenatale della bambina, nata con seri deficit fisici. Al
pediatra della bambina, Pietro, dedico la raccolta Tu sei Pietro con la
quale ho vinto in Svizzera il Premio Gamberoni e ottenuto la cittadinanza elvetica.
Segue
un silenzio durato vent'anni.
Sono
sempre stata anch’io una bambina sempre ammalata, delicata e molto emotiva;
avevo avuto quel terribile esaurimento ed ecco che in questi anni ricado in una
terribile precarietà psicologica a causa della quale nel 1965 vengo
forzatamente internata nel manicomio “Paolo Pini”. Sono sposa e madre felice
(ho già due figlie), anche se talvolta do segni di stanchezza e mi si
intorpidisce la mente. Provo a parlare di queste cose a mio marito, ma lui non
fa cenno di comprenderle e così il mio esaurimento si aggrava. Morendo mia
madre le cose peggiorano, tanto che un giorno vado in escandescenze e mio marito
non trova di meglio che chiamare un’ambulanza, non prevedendo certo che mi
avrebbero portata in manicomio. Ma allora le leggi erano precise e ancora la
donna era soggetta all’uomo che poteva prendere decisioni sul suo avvenire. Non
è difficile far internare una persona, ma se mi chiedessero di far fare un
giorno di internamento a qualcuno, piuttosto che dir di sì preferirei morire.
“Il manicomio è una grande cassa
con atmosfere di suono
e il delirio diventa specie,
l'anonimità misura,
il manicomio è il monte Sinai
luogo maledetto
sopra cui tu ricevi
le tavole di una legge
agli uomini sconosciuta.
*
Quando ci mettevano un cappio al
collo
E ci buttavano sulle brandine
ignude
In mezzo a cocci di orrende
bottiglie
Per favorire l’autoannientamento,
era in quel momento che sulle
fronti madide
compariva il sudore degli orti
sacri
degli orti innominati degli ulivi
Quando gli infermieri bastardi
Ci sollevavano le gonne putride
Per vedere se anche noi avevamo
un sesso-ragione
E ridevano,ghignavano verde
Era in quel momento preciso
Che volevamo la lapidazione”
Il manicomio è stato un’esperienza atroce:
appena mi ci trovo nel mezzo dai miei visceri parte un urlo lancinante,
un’invocazione spasmodica diretta ai miei figli e mi metto a urlare e calciare
con tutta la forza che ho dentro. Vengo legata e martellata di iniezioni
calmanti.
Non
era forse la mia una ribellione umana?
Dopo qualche giorno viene mio marito ma io non
voglio seguirlo avendo imparato a riconoscere in lui un nemico. Esco
definitivamente nel 1972 ma l'alternanza di periodi di lucidità e follia
continua fino al '79, dovuti probabilmente alla sindrome bipolare, della quale,
se mi può consolare, hanno patito anche altri grandi poeti ed artisti quali Charles
Baudelaire, Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald, Lord Byron e Virginia
Woolf.
Nel 1979
il silenzio è finalmente rotto e inizio a lavorare su quello che è stato considerato
il mio capolavoro: “La Terra Santa”, vincitrice del Premio Librex
Montale nel 1993.
“Le più belle poesie
si scrivono sopra le pietre
coi ginocchi piagati
e le menti aguzzate dal mistero.
Le più belle poesie si scrivono
davanti a un altare vuoto,
accerchiati da agenti
della divina follia.
Così, pazzo criminale qual sei
tu detti versi all'umanità,
i versi della riscossa
e le bibliche profezie
e sei fratello di Giona.
Ma nella Terra Promessa
dove germinano i pomi d'oro
e l'albero della conoscenza
Dio non è mai disceso né ti ha mai maledetto.
Ma tu sì, maledici
ora per ora il tuo canto
perché sei sceso nel limbo,
dove aspiri l'assenzio
di una sopravvivenza negata”
Nel 1981
muore Ettore Carniti ed io, rimasta sola,stringo un'amicizia a distanza con il
poeta tarantino Michele Pierri. L'intesa fra noi si fa sempre più forte, malgrado i trent'anni
e la distanza che ci separano. Nel 1983 dedico a lui e alla memoria di mio
padre le raccolta Rime petrose, le liriche Per Michele Pierri e Le
satire della Ripa. Nell'ottobre dello stesso anno ci sposiamo e ci trasferiamo
a Taranto e lui, che era stato medico prima di dedicarsi interamente alla
poesia — si prende cura di me. Sempre nello stesso periodo, giunti al 1985,
ultimo la stesura del mio primo testo in prosa L'altra verità. Diario di una
diversa.
Questi
anni di apparente tranquillità vengono però deturpati dal riaffacciarsi del demone
della follia e sperimento nuovamente le torture dell'ospedale psichiatrico a
Taranto, in cui mi hanno usato violenza e dato l’olio di ricino: vado poi da
Montanelli per far chiudere quel manicomio. A Taranto ricevo il Premio
Cittadella ex aequo con mio marito
Michele. Nell'86 ritorno a Milano e riprendo a frequentare gli amici di un
tempo; ricomincio a scrivere con continuità per non smettere mai più.. Nel 1996 l'Académie française mi
propone per ricevere il premio Nobel per la letteratura.
Nel 2002
esce per Frassinelli “Magnificat” che riflette il mio incontro con Maria, di cui mi
colpisce soprattutto l'aspetto più umano
e femminile e che, nel settembre dello stesso anno, mi vale il Premio Dessì per
la poesia. La verginità, il dogma della verginità, è possibile. In manicomio ho
visto tante gravidanze isteriche portate fino all’ultimo, si sente persino il battito
cardiaco del bambino,ma queste donne non partoriscono niente: la mente umana è
un prodigio.
“La mia poesia è alacre come il fuoco,
trascorre tra le mie dita come un rosario.
Non prego perché sono un poeta della sventura
che tace, a volte, le doglie di un parto dentro le ore,
sono il poeta che grida e che gioca con le sue grida,
sono il poeta che canta e non trova parole,
sono la paglia arida sopra cui batte il suono,
sono la ninnanànna che fa piangere i figli,
sono la vanagloria che si lascia cadere,
il manto di metallo di una lunga preghiera
del passato cordoglio che non vede la luce”
Nel
febbraio del 2004 vengo ricoverata all'Ospedale San Paolo di Milano per
problemi di salute. Da tutta Italia vengono inviate e-mail a sostegno
dell’ appello lanciato da un caro amico che richiede per me aiuto economico. Nel
mese successivo esce l'album, intitolato “Milva canta Merini”, che
contiene undici motivi cantati da Milva tratti dalle mie poesie e musicati da
Giovanni Nuti. Il 21 marzo, in occasione del mio settantatreesimo compleanno, alla
mia presenza viene eseguito un recital al Teatro Strehler di Milano e viene presentato
il disco. Nel 2005 pubblico con Giovanni Nuti l’album “Poema della croce”, opera sacra tratta dall’omonimo testo
religioso, che viene anche rappresentata nel Duomo di Milano con me recitante
nel ruolo di Maria. Nel 2009 esce il documentario “Alda Merini, una donna sul palcoscenico”,
del regista Cosimo Damiano Damato, presentato alle Giornate degli Autori della 66ª
Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia. Il film vede la
partecipazione di Mariangela Melato e le fotografie di Giuliano Grittini. Dal
mio incontro col regista nasce una grande amicizia e tante poesie inedite che
abbiamo inserito nel documentario:
Un giorno io ho perso una
parola/sono venuta qui per dirvelo e non perché voi abbiate risposta/ Non amo i
dialoghi o le domande: mi sono accorta che cantavo in una orchestra che non
aveva voci/ Ho meditato a lungo sul silenzio, al silenzio non c’è risposta./ Io
le mie poesie le ho buttate/ non avevo fogli su cui scriverle./ Poi mi si sono
avvicinati strani animali come uomini di antenate bestie da manicomio/ qualcuno
mi ha aiutato a sentirmi unica, mi ha guardato./ Pensavo che per loro non
c’erano semafori, castelli e strade./ Questo posto sgangherato come il mio
cervello che ha trovato solitudini./ Poi è venuto un santo che aveva qualcosa
da dare/ un santo che non aveva le catene,non era un malfattore,/ l’unica cosa
che avevo avuto in questi anni./ L’avrei seguito/ finché un giorno non sapevo
più innamorarmi./ È venuto un santo che mi ha illuminato come una stella./ Un
santo mi ha risposto: perché non ti ami? È nata la mia indolenza./ Non vedo più
gente che mi picchia e non vedo più i manicomi./ Sono morta nell’indolenza.
"Clinica
dell'abbandono" è la
raccolta che riunisce i versi degli ultimi anni.
“Non avessi sperato in te
e nel fatto che non sei un poeta
di solo amore
tu che continui a dirmi
che verrai domani
e non capisci che per me
il domani e’ gia’ passato (…)
Ti aspetto e ogni giorno
mi spengo poco per volta
e ho dimenticato il tuo volto.
Mi chiedono se la mia disperazione
sia pari alla tua assenza
no, è qualcosa di più:
è un gesto di morte fissa
che non ti so regalare”.
Muoio
il 1º novembre 2009 a
causa di un tumore all'ospedale San Paolo di Milano. Il 4 novembre ricevo i
funerali di stato; i frati francescani di Assisi, raggiunti dalla notizia, si
riuniscono in preghiera,affezionati a me e al mio scontroso e dolcissimo modo
di esistere.
L’anno
dopo continuo a pubblicare con un album postumo dal titolo “Una piccola ape furibonda”.(fine della II parte)