giovedì 7 giugno 2012

La seconda parte della storia di Alda


 Rieccomi dopo qualche giorno per pubblicare la II parte del lavoro su Alda Merini. In realtà non è ancora tutto...purtroppo per voi!!

 Così scrive Maria Corti nell'introduzione a “Vuoto d'amore”: «[...] ogni sabato pomeriggio lei e Manganelli salivano le lunghe scale senza ascensore del mio pied-à-terre in via Sardegna e io li guardavo dalla tromba della scala: solo Dio poteva sapere che cosa sarebbe stato di loro. Manganelli più di ogni altro l'aiutava a raggiungere coscienza di sé, a giocarsi bene il destino della scrittura al di là delle ombre di Turro».Poi un giorno la lasciò..

Dopo la partenza di Manganelli da Milano, nel periodo che va dal '50 al '53, comincia la storia con  Salvatore Quasimodo che si  rivela una persona molto equilibrata che non mi da dolori: molto più dolce di Manganelli, non chiede di essere capito, di essere lui il centro della relazione. Comunque anche lui è una persona pesante: non posso parlare di grandi amori, ma di grandi uomini, con i quali il rapporto è difficilissimo. A Quasimodo ho dedicato le Due poesie per Q:
I.
“Padre che fosti a me, grande poeta,
bene ricordo la tua cetra viva
e le tue dita bianche affusolate
che varcavano il solco del mio seno.
E io ricordo tutto, le bufere
i venti aperti e quella confusione
che trovava la nostra poesia.
Parlavamo il linguaggio dei poeti
casto, accorato senza delusioni
o eravamo delusi di noi stessi
poveri, confinati nello spazio
come astronauti sulla stessa luna”.
Nel 1950 Spagnoletti pubblica nell'antologia “Poesia italiana contemporanea 1909-1949” le due liriche “Il gobbo” e “Luce”. L'anno successivo le stesse liriche, insieme con altri due componimenti, vengono incluse da Vanni Scheiwiller nel volume “Poetesse del Novecento”, su consiglio di Eugenio Montale e Maria Luisa Spaziani.
 “Dalla solita sponda del mattino
io mi guadagno palmo a palmo il giorno:
il giorno dalle acque così grigie,
dall'espressione assente.
Il giorno io lo guadagno con fatica
tra le due sponde che non si risolvono,
insoluta io stessa per la vita
... e nessuno m'aiuta.
Mi viene a volte un gobbo sfaccendato,
un simbolo presago d'allegrezza
che ha il dono di una stana profezia.
E perché vada incontro alla promessa
lui mi traghetta sulle proprie spalle”.
 Nel 1953 sposo Ettore Carniti, proprietario di alcune panetterie a Milano. Purtroppo accade che, incinta della mia prima figlia Emanuela, muore mio padre a 53 anni: un grande dolore che deve aver influito sulla crescita prenatale della bambina, nata con seri deficit fisici. Al pediatra della bambina, Pietro, dedico la raccolta Tu sei Pietro con la quale ho vinto in Svizzera il Premio Gamberoni e ottenuto la cittadinanza elvetica.
Segue un silenzio durato vent'anni.
Sono sempre stata anch’io una bambina sempre ammalata, delicata e molto emotiva; avevo avuto quel terribile esaurimento ed ecco che in questi anni ricado in una terribile precarietà psicologica a causa della quale nel 1965 vengo forzatamente internata nel manicomio “Paolo Pini”. Sono sposa e madre felice (ho già due figlie), anche se talvolta do segni di stanchezza e mi si intorpidisce la mente. Provo a parlare di queste cose a mio marito, ma lui non fa cenno di comprenderle e così il mio esaurimento si aggrava. Morendo mia madre le cose peggiorano, tanto che un giorno vado in escandescenze e mio marito non trova di meglio che chiamare un’ambulanza, non prevedendo certo che mi avrebbero portata in manicomio. Ma allora le leggi erano precise e ancora la donna era soggetta all’uomo che poteva prendere decisioni sul suo avvenire. Non è difficile far internare una persona, ma se mi chiedessero di far fare un giorno di internamento a qualcuno, piuttosto che dir di sì preferirei morire.
“Il manicomio è una grande cassa
con atmosfere di suono
e il delirio diventa specie,
l'anonimità misura,
il manicomio è il monte Sinai
luogo maledetto
sopra cui tu ricevi
le tavole di una legge
agli uomini sconosciuta.
*
Quando ci mettevano un cappio al collo
E ci buttavano sulle brandine ignude
In mezzo a cocci di orrende bottiglie
Per favorire l’autoannientamento,
era in quel momento che sulle fronti madide
compariva il sudore degli orti sacri
degli orti innominati degli ulivi

Quando gli infermieri bastardi
Ci sollevavano le gonne putride
Per vedere se anche noi avevamo un sesso-ragione
E ridevano,ghignavano verde
Era in quel momento preciso
Che volevamo la lapidazione”
 Il manicomio è stato un’esperienza atroce: appena mi ci trovo nel mezzo dai miei visceri parte un urlo lancinante, un’invocazione spasmodica diretta ai miei figli e mi metto a urlare e calciare con tutta la forza che ho dentro. Vengo legata e martellata di iniezioni calmanti.
Non era forse la mia una ribellione umana?
 Dopo qualche giorno viene mio marito ma io non voglio seguirlo avendo imparato a riconoscere in lui un nemico. Esco definitivamente nel 1972 ma l'alternanza di periodi di lucidità e follia continua fino al '79, dovuti probabilmente alla sindrome bipolare, della quale, se mi può consolare, hanno patito anche altri grandi poeti ed artisti quali Charles Baudelaire, Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald, Lord Byron e Virginia Woolf.
Nel 1979 il silenzio è finalmente rotto e inizio a lavorare su quello che è stato considerato il mio capolavoro: “La Terra Santa”, vincitrice del Premio Librex Montale nel 1993.
 “Le più belle poesie
si scrivono sopra le pietre
coi ginocchi piagati
e le menti aguzzate dal mistero.
Le più belle poesie si scrivono
davanti a un altare vuoto,
accerchiati da agenti
della divina follia.
Così, pazzo criminale qual sei
tu detti versi all'umanità,
i versi della riscossa
e le bibliche profezie
e sei fratello di Giona.
Ma nella Terra Promessa
dove germinano i pomi d'oro
e l'albero della conoscenza
Dio non è mai disceso né ti ha mai maledetto.
Ma tu sì, maledici
ora per ora il tuo canto
perché sei sceso nel limbo,
dove aspiri l'assenzio
di una sopravvivenza negata”
Nel 1981 muore Ettore Carniti ed io, rimasta sola,stringo un'amicizia a distanza con il poeta tarantino Michele Pierri. L'intesa fra noi  si fa sempre più forte, malgrado i trent'anni e la distanza che ci separano. Nel 1983 dedico a lui e alla memoria di mio padre le raccolta Rime petrose, le liriche Per Michele Pierri e Le satire della Ripa. Nell'ottobre dello stesso anno ci sposiamo e ci trasferiamo a Taranto e lui, che era stato medico prima di dedicarsi interamente alla poesia — si prende cura di me. Sempre nello stesso periodo, giunti al 1985, ultimo la stesura del mio primo testo in prosa L'altra verità. Diario di una diversa.
Questi anni di apparente tranquillità vengono però deturpati dal riaffacciarsi del demone della follia e sperimento nuovamente le torture dell'ospedale psichiatrico a Taranto, in cui mi hanno usato violenza e dato l’olio di ricino: vado poi da Montanelli per far chiudere quel manicomio. A Taranto ricevo il Premio Cittadella ex aequo con mio marito Michele. Nell'86 ritorno a Milano e riprendo a frequentare gli amici di un tempo; ricomincio a scrivere con continuità per non smettere mai più.. Nel 1996 l'Académie française mi propone per ricevere il premio Nobel per la letteratura.
Nel 2002 esce per Frassinelli “Magnificat” che riflette il mio incontro con Maria, di cui mi colpisce  soprattutto l'aspetto più umano e femminile e che, nel settembre dello stesso anno, mi vale il Premio Dessì per la poesia. La verginità, il dogma della verginità, è possibile. In manicomio ho visto tante gravidanze isteriche portate fino all’ultimo, si sente persino il battito cardiaco del bambino,ma queste donne non partoriscono niente: la mente umana è un prodigio.
 “La mia poesia è alacre come il fuoco,
trascorre tra le mie dita come un rosario.
Non prego perché sono un poeta della sventura
che tace, a volte, le doglie di un parto dentro le ore,
sono il poeta che grida e che gioca con le sue grida,
sono il poeta che canta e non trova parole,
sono la paglia arida sopra cui batte il suono,
sono la ninnanànna che fa piangere i figli,
sono la vanagloria che si lascia cadere,
il manto di metallo di una lunga preghiera
del passato cordoglio che non vede la luce”
Nel febbraio del 2004 vengo ricoverata all'Ospedale San Paolo di Milano per problemi di salute. Da tutta Italia vengono inviate e-mail a sostegno dell’ appello lanciato da un caro amico che richiede per me aiuto economico. Nel mese successivo esce l'album, intitolato “Milva canta Merini”, che contiene undici motivi cantati da Milva tratti dalle mie poesie e musicati da Giovanni Nuti. Il 21 marzo, in occasione del mio settantatreesimo compleanno, alla mia presenza viene eseguito un recital al Teatro Strehler di Milano e viene presentato il disco. Nel 2005 pubblico con Giovanni Nuti l’album “Poema della croce”, opera sacra tratta dall’omonimo testo religioso, che viene anche rappresentata nel Duomo di Milano con me recitante nel ruolo di Maria. Nel 2009 esce il documentario “Alda Merini, una donna sul palcoscenico”, del regista Cosimo Damiano Damato, presentato alle Giornate degli Autori della 66ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia. Il film vede la partecipazione di Mariangela Melato e le fotografie di Giuliano Grittini. Dal mio incontro col regista nasce una grande amicizia e tante poesie inedite che abbiamo inserito nel documentario:
Un giorno io ho perso una parola/sono venuta qui per dirvelo e non perché voi abbiate risposta/ Non amo i dialoghi o le domande: mi sono accorta che cantavo in una orchestra che non aveva voci/ Ho meditato a lungo sul silenzio, al silenzio non c’è risposta./ Io le mie poesie le ho buttate/ non avevo fogli su cui scriverle./ Poi mi si sono avvicinati strani animali come uomini di antenate bestie da manicomio/ qualcuno mi ha aiutato a sentirmi unica, mi ha guardato./ Pensavo che per loro non c’erano semafori, castelli e strade./ Questo posto sgangherato come il mio cervello che ha trovato solitudini./ Poi è venuto un santo che aveva qualcosa da dare/ un santo che non aveva le catene,non era un malfattore,/ l’unica cosa che avevo avuto in questi anni./ L’avrei seguito/ finché un giorno non sapevo più innamorarmi./ È venuto un santo che mi ha illuminato come una stella./ Un santo mi ha risposto: perché non ti ami? È nata la mia indolenza./ Non vedo più gente che mi picchia e non vedo più i manicomi./ Sono morta nell’indolenza.

"Clinica dell'abbandono" è la raccolta che riunisce i versi degli ultimi anni.
“Non avessi sperato in te
e nel fatto che non sei un poeta
di solo amore
tu che continui a dirmi
che verrai domani
e non capisci che per me
il domani e’ gia’ passato (…)
Ti aspetto e ogni giorno
mi spengo poco per volta
e ho dimenticato il tuo volto.
Mi chiedono se la mia disperazione
sia pari alla tua assenza
no, è qualcosa di più:
è un gesto di morte fissa
che non ti so regalare”
.

Muoio il 1º novembre 2009 a causa di un tumore all'ospedale San Paolo di Milano. Il 4 novembre ricevo i funerali di stato; i frati francescani di Assisi, raggiunti dalla notizia, si riuniscono in preghiera,affezionati a me e al mio scontroso e dolcissimo modo di esistere.
L’anno dopo continuo a pubblicare con un album postumo dal titolo “Una piccola ape furibonda”.(fine della II parte)



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